Non mi ritengo un fotografo. Mi ritengo una persona che usa una macchina fotografica per creare immagini che vede nella propria testa”. Infatti ogni sua foto non è una foto: è uno spazio tra una foto e l’altra, è l’istante immediatamente prima o subito dopo di una foto, è una visione inaspettata e un racconto di cosa sarebbe successo se un fotografo avesse fatto una foto.
Questo è Steve Hiett: fotografo, art director editoriale, filmaker, pittore, grafico, e, guarda un po’, musicista. Inglese del 1940, inizia studiando pittura al Royal College of Art a Londra. Ne esce come chitarrista e frontman di band psyco-pop con cui gira il paese, e con un’immensa passione per tutto ciò che è arte visiva.
Pubblica sullo storico “Nova”, dove scrivono Graham Greene, Lynda Lee-Potter, Christopher Booker, Susan Sontag, Irma Kurtz. Documenta e produce scatti taglienti, scintillanti come lame, gravidi di saturazione, di gambe infinite, di ombre totali, di incarnati lucenti e, soprattutto, sorprendenti: Hiett ha sempre la capacità di mettere qualcosa dove non te lo aspettavi.
Inizia a scattare per Vogue Italia, gira spot pubblicitari, collabora con il Vogue inglese, Glamour, Spoon, presiede festival. Le sue immagini diventano più dettagliate, perfette, spesso notturne, senza nulla togliere alla loro caratteristica tensione, che lui spiega così: “Tensione? Sarà inconscia: io non cerco tensione, cerco il giusto feeling”.
A 75 anni lavora ancora come fotografo di moda e vive a Parigi con la sua Fender.