Vista da un aereo
sembra un serpente
che abbia inghiottito un coniglio
senza poterlo digerire.
Eugenio Montale
Non sono andato a Genova per vedere Genova.
Sono andato per conoscere persone.
Ero lì per guardare negli occhi una manciata di sindaci che si presentavano in una delle prime riunioni pubbliche come nuova formazione politica.
Ma a Genova, qualunque cosa tu faccia, la stai facendo a Genova: si percepisce.
A Genova si sale o si scende, a Genova c’è una cordialità tutta ligure: estiva, assecondata dal sole che sembra replicare sulle strade lastricate i bagliori che arrivano giù dal mare, vacanziera; che poi d’inverno diventa riservatezza e anche mugugno. A Genova succede più volte, durante la giornata, di sentirsi come in un tranquillo luogo di villeggiatura, ma Genova non è una città facile, non lo è mai stata.
Balzac, forse per ingraziarsi qualche nobildonna locale, scrisse che le modelle scelte da Michelangelo per il tormentato progetto del sepolcro dei magnifici Lorenzo e Giuliano fossero genovesi. Rappresentano la notte e l’alba, ed è giusto così. Genova ha i suoi tramonti straordinari, ma a Genova per i tramonti si sale o si scende.
Nella galleria del Carlo Felice una grande porta in ferro, un po’ anonima, introduce, attraverso delle larghe scale da scendere, alla sala dell’Auditorium dedicato a Eugenio Montale. Arrivo tardi, ho sicuramente perso le premesse, mi guardo intorno. La platea non proprio affollata è lì a ricordare che gli esordi non sono mai facili: anche Montale, del resto, era partito ragioniere. Italia in Comune: un nuovo soggetto politico che si affaccia in questa epoca molto difficile, partito nato da un Federico Pizzarotti orfano di un progetto che gli offra una prospettiva politica dopo il sacrosanto addio al neuromarketing del consenso del movimento diretto nell’ombra da Casaleggio e chissacchì; non così ingenuo da finire invischiato nelle attuali beghe fallimentari del Partito Democratico.
La mattinata di questa domenica di fine settembre va via così, mentre mi raggiunge Enrico, l’amico genovese di mio figlio che si era offerto per darmi una mano. Ci trasferiamo lì vicino, presso il Caffè degli specchi, ovvero il Bar Splendid dal quale Dino Campana osservava il saliscendi (*) di commerci e prostitute che animava la Genova dei primi del ‘900. Mi riservano una piccola saletta al primo piano dove colloco il set. Sistemo su un cavalletto il pannello led che fa così il suo esordio tra la mia attrezzatura, utilissimo quando c’è da girare con il minimo indispensabile.
La mia idea, spiego, è di tirar fuori dei primi piani strettissimi: siete nuovi, voglio che la gente vi legga negli occhi. Il primo è proprio Pizzarotti: gentile, sorridente, abituato. Vado veloce, l’idea era buona, loro sono nel mezzo di un incontro destinato a costruire relazioni, un network, delle basi programmatiche, non voglio far perdere tempo. Le facce ci sono, buona fortuna a voi.
Il pomeriggio si diluisce in una lunga passeggiata con Enrico, che abita vicino a Brignole, a due passi da Piazza Alimonda, e si accolla generosamente la valigia con l’attrezzatura. Gran bravo ragazzo.