Nel museo della Shoah di Varsavia, in un palazzo ricostruito dopo la sistematica distruzione operata dai nazisti, si può vedere un documentario girato dagli stessi tedeschi in cui si vedono gli ingegneri di Hitler che studiano, con i genieri militari e gli esperti di esplosivi, il sistema più rapido ed efficace per disintegrare la capitale polacca. Il filmato si conclude con la mano in primo piano di un ragazzo tedesco che gira una pesante chiave di innesco, per dare il via alla catena di esplosioni a regola d’arte che distruggeranno il centro di Varsavia.
Ho curato uno speciale del TG5 sull’olocausto, girato all’interno della Sinagoga di Roma. Nonostante da anni mi capiti di vedere e rimettere mano a immagini tratte da documentari, spezzoni di filmati, fotografie, ogni volta provo la stessa sensazione: mi vergogno.
Sì, proprio così.
Mi vergogno di non essere ebreo, di riuscire a condividere questa sofferenza della memoria più con la mente che con il cuore. Ci sono momenti in cui è stata esercitata quella che il rabbino Benedetto Carucci Viterbi ha definito la retorica della memoria. Un fenomeno che accade ogni volta che si affastellano fatti, racconti, aneddoti, esperienze dentro la scatola della nostra mente senza però la partecipazione del cuore. Cerco di spiegarmi: a un certo punto scorrono le immagini incredibili del dottor Mengele che esamina alcuni bambini: sono fotogrammi di inaudita violenza, raccapriccianti, fastidiosi, insopportabili. Nella retorica della memoria prendo atto di questa sequenza, mi indigno, certo, la respingo.
Ma è tutto qui, non si va oltre. Nella vera memoria, invece, quella che condividi con chi ha vissuto quella vicenda sulla propria carne, non puoi non guardare un ebreo sentendoti in colpa, provando vergogna. Perché io, non ebreo, c’ero e non ho fatto nulla; perché mi sono voltato dall’altra parte; perché ho alzato le spalle e ho pensato: non sono problemi miei.
Vergogna, quanta vergogna!
Ed ecco che spunta un sondaggio del professor Renato Mannheimer che ci informa di una realtà non più tollerabile: il 31% degli italiani ritiene che gli ebrei dovrebbero smettere di fare le vittime per l’olocausto e le persecuzioni di sessant’anni fa. E, ancora più assurdo, questo dato: il 12% pensa che gli ebrei mentano quando sostengono che il nazismo sterminò sei milioni di loro nelle camere a gas. Per non dire poi del fatto che il 7% auspica che gli ebrei lascino il paese.
Vergogna!
Altro che tradimento dell’Italia del Risorgimento, come ha definito il capo dello Stato l’approvazione delle leggi razziali nel 1938. Ci rendiamo conto che questi dati sono di gran lunga superiori alle percentuali di molti partiti? Che in Italia ci sono milioni di persone che hanno oggi, qui e ora, un pregiudizio antisemita?
C’è ancora oggi chi chiede a un ex-deputato cos’è il numero che porta tatuato sul braccio e perfino chi fa del sarcasmo dicendo che si tratta di un numero di telefono da non dimenticare. Nessuno, nessuno oggi può dire: non so, non conosco. Potrà semmai dire: non capisco, non posso capire. Ma l’ignoranza dell’olocausto non può essere tollerata, né oggi né mai.
Come è scritto nella Bibbia: “Non sta a te finire il lavoro, ma ciò non ti esonera da esso”. E questo lavoro di raccordo, dei memoria del cuore, non di vuota retorica della mente, va portato avanti ogni giorno affinché davvero si possa dire: mai più.
(Andrea Pamparana, editoriale >bmm, 19/02/05)