Questa è la storia di un ragazzo cresciuto nelle miniere della Renania, che viaggiò per le strade della Germania, che fu ammirato da Kurt Tucholsky, Thomas Mann e Walter Benjamin, che fu perseguitato fino alla distruzione delle sue opere, che vide morire suo figlio innocente in carcere, che si ritirò in un paesino sperduto e fu raggiunto dalle bombe dei nemici dei suoi nemici che distrussero per la seconda volta il suo lavoro.
August Sander faceva l’operaio in miniera con il padre, quando arrivò un fotografo a documentare l’attività dei pozzi. Al tipo serviva un aiutante, e il giovane carpentiere August colse al volo l’occasione.
Era la fine dell’Ottocento, e quella magica innovazione che fermava il tempo su di un pezzo di vetro folgorò immediatamente il ragazzo. Riuscì, con l’aiuto del padre e dello zio, ad andare a studiare pittura a Dresda e a comprare l’occorrente per confezionare fotografie. Svolse il servizio militare come assistente fotografo e si trasferì in Austria, dove aprì il suo studio e si sposò. Nel 1910, con in tasca una Medaglia d’oro alla Esposizione delle Arti decorative di Parigi, lasciò l’Austria e si stabilì a Colonia, un centinaio di chilometri da Herdorf, il suo paese natale.
Del resto la regione mineraria del Westerwald e la gente che aveva conosciuto da ragazzo restò per lui una grande fonte di ispirazione, e spesso tornava a visitarla con la sua attrezzatura fotografica. Cominciò a delinearsi l’idea di rappresentare attraverso la fotografia un campionario universale, un catalogo dei tipi umani, dei diversi gruppi sociali, dai contadini agli artigiani, operai, studenti, professionisti, artisti e uomini politici chiamati a svolgere il delicato ruolo di testimoni e archetipi della loro epoca.
Sander scrisse: “Ho incominciato i primi lavori della mia opera “Uomini del XX secolo” nel 1911, a Colonia, mia città d’adozione. Ma è nel mio paese del Westerwald che sono nati i personaggi del libro. Queste persone, delle quali io conoscevo le abitudini fin dall’infanzia, mi sembravano, anche per il loro legame con la natura, designati apposta per incarnare la mia idea di archetipo. La prima pietra era così posta, e il tipo originale servì da referente per tutti quelli che ho trovato in seguito, per illustrare nella loro molteplicità le qualità dell’universale umano”.